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Daniela Citino


Tenera è la notte nella città del jazz. Ma non siamo a New Orleans. Non siamo nella colonica Louisiana mentre scivoliamo su un battello lungo le sponde del Mississippi. La nostra città del jazz indossa un abito liberty. La riconosciamo subito. Le note del jazz scorrono lungo le sue geometriche linee. Verticalità ed orizzontalità sono assolute e sembrerebbero non finire mai. Proprio come il jazz. Un ritmo ora frenetico, ora languido, ora ossessivo e martellante, ora sensuale e melanconico. Un eterno ritorno, un andare sempre via. Ma è solo un’illusione. E’ solo l’attimo di un assolo. Di un duetto. Tenera è la notte nella città del jazz mentre sagome di musicisti diventano tutt’uno con i suoi luoghi. Un’equazione inscindibile. Una relazione insostituibile. Il signore del jazz è proprio lì con la sua mascella volitiva e con il suo occhio vivissimo mentre suona il sax con le punte sollevate dei piedi e il dorso della schiena che si incurva appena. Un movimento, un guizzo, un magnifico colpo di colore. Tenera è la notte nella città del jazz dove la luna potrebbe fare dire a Faust: Fermati è bello. Luna lassù che illumina i volti del jazz. Che lascia una scia, un suo riverbero su sax e trombe. Notte stellata che invita a seguire, come silenziosi sciami d’api, il gustoso miele sonoro lasciato dalle amabili note del nostro pifferaio magico. Una favola bella che la vita ci regala e che l’arte ritrae e cattura obbedendo cosi all’utopia del signor Faust. Fermati è bello. E sarà cosi per sempre. E’ il sogno ad occhi semiaperti di Arturo Barbante diventa il nostro sogno visivo, il nostro immaginifico colorato. “Per vedere la realtà, bisogna chiudere gli occhi, accecarsi, passare per un sogno, per poi riaprire gli occhi, ridestarsi alla realtà per tornare a vedere la luce e le cose come effettivamente sono”. Lo affermava, se ricordo bene, un certo Stanley Kubrick, talentuoso e indimenticabile maestro dei nostri sogni di celluloide.