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Icone della tavola, di Gino Carbonaro, 2010, personale di pittura, Galleria Koinè di Scicli


In queste opere, ogni personaggio è una maschera grottesca, il cui tema sembra partire da molto lontano. Forse da Hieronymus Bosch, transitato per Francisco Goya e poi al berlinese George Grosz e, in parallelo, a Mino Maccari, e perché no, anche a Toulouse-Lautrec e Francis Bacon. Poi c'è lui. Arturo Barbante.
Le maschere? Sono figure di un repertorio umano, dove leggi il rapporto (drammatico) con la realtà. In volti dove si coglie l'essere e il non essere delle cose. La precarietà dell'esistere. Il non-senso della vita.
Eppure, malgrado l'impatto con le figure, il nostro interesse è per la forma. L'occhio dell'osservatore parte solitamente dal centro ma, risucchiato poi, in altra parte dell'opera. Poi ci si muove ancora, rilevando figure che si dissolvono. Ombre. Larve. Quasi visioni spettrali di personaggi che sono.. o erano? Presenze? Assenze?
È incredibile questo lavoro, che si osserva, fa riflettere, ci appaga, mentre si lascia godere. Ed è musica per gli occhi, nutrimento del pensiero, dell'animo. Chi osserva resta ipnotizzato da questa spirale ruotante. Opere perfette. Emozione intensa.
Ora, un'altra opera Qui, al pennello viene aggiunto un filo di penna. Inchiostro di china. Si rilevano segni volanti che come meteore attraversano il fondo. Figure? Sempre grottesche. Soggetti? Sempre pronti per farsi riprendere/fotografare da uno spirito assente. Scopo, non rilevato? Fare immortalare la loro immagine precaria, un pellicola di niente. Un sentirsi al centro dell'attenzione per un attimo. Il grottesco è dominante. Nell'opera senti tutto. Anche l'odore di mare. La gioia è esistere. Ma, io registro un vuoto. Un nulla che non ha scopi. Né motivi.
Tutti i personaggi sono evanescenti. Esistono? Non esistono! Li vedi? Non li vedi! Spiriti che hanno lasciato solo la loro pellicola esterna. Un po' come i serpenti che non vedi, quando in campagna si ha la ventura di trovare a terra una pellicina della muta. Ma, quello che affascina è l'opera pittorica. Equilibrio. Dominio del rettangolo. Piani in sequenza. Sorrisi beffardi. E ancora, una donna manichino. Anche lei maschera, palo, immobilità di chi ignora cosa sta accadendo intorno a lei.
Tutti questi protagonisti, anime di niente, sono lì, hic et nunc. Immobili. Per farsi riprendere da una entità sconosciuta che è, ma nello stesso tempo non è, perché nessuno la vede.
Un incanto questo lavoro. E aggiungiamo ancora che in queste opere è possibile leggere un percorso culturale importante. Dadaismo, Surrealismo, Espressionismo, le Avanguardie, che nel nostro Autore restano come residuo di esperienza matura e distillata .
Ora tutto è risolto in una stupenda semplificazione della forma. Riduzione grafica del segno. Uso dell'acquerello come fosse carboncino. E poi, che dire? Ci siamo accorti che queste figure statiche (perché così li vuole la foto) in realtà sono dinamicamente in movimento. E sembrano venir fuori dal quadro per venirci incontro?
In questa pittura c'è tutto di te. Soprattutto la forza, l'energia che tiene in "tensione" la tue opere, nelle quali mescoli arte aulica e arte popolare. Scegliendo di usare l'acquerello che non deve, più che mai, sfuggire al controllo del pittore. Acquerello domato, dosato, sposato con il bianco e nero. Acquerello che non deve mai dire agli altri: "Guarda come sono bello. Come sono effeminato. Questo sono io". Non mi meraviglierei, se cambiando il tema dei tuoi "racconti", tu possa cambiare tecnica e stile.
Questo perché sei imprevedibile. Ami la provocazione. Il confronto. Il dibattito. La guerra (e la pace). Ami l'amore, le cose belle e giuste, ma soprattutto parlare agli altri con la pittura. Col segno che incide senza ingannare così come spesso l'uomo usa fare con le parole.